LA RÊVERIE
È con Bion (1962) che il termine rêverie assume un significato psicoanalitico nuovo e specifico. Si tratta della capacità della madre di ricevere le impressioni emotive e sensoriali del bambino (elementi beta), affluenti in lei per mezzo dell'identificazione proiettiva, e di elaborarle in modo che la mente del bambino possa reintroiettarle in forma assimilabile. Corrisponde, quindi, allo stato mentale della madre di cui il bambino necessita per un sano sviluppo psico-affettivo. L'esperienza non può divenire pensabile se non viene trasformata in rappresentazioni elementari, ovvero in elementi alfa, grazie all'operato della funzione alfa. Per mezzo della rêverie, la madre mette la propria funzione alfa al servizio di quella del bambino, che è ancora immatura. Insieme alle proprie proto-emozioni divenute ora pensabili, il bambino introietta la funzione alfa materna e può, così, sviluppare il proprio apparato per pensare.
Molto interessante è la definizione che ne dà Hanna Segal (1979): «Quando un bambino ha un'angoscia intollerabile, la affronta proiettandola nella madre: la risposta della madre è di accettare questa angoscia e di fare quanto è necessario per attenuare la sofferenza del bambino. La percezione del bambino è di aver proiettato qualcosa di intollerabile dentro il suo oggetto e che l'oggetto è stato capace di contenerlo e affrontarlo. Può allora introiettare di nuovo non soltanto la sua angoscia originaria, ma soprattutto un'angoscia modificata perché è stata contenuta. Introietta anche un oggetto capace di contenere e affrontare l'angoscia» (H. Segal, 1979, pp. 143-144).
Bion impiega il termine rêverie per definire anche l'assetto mentale dell'analista in seduta. Espletando la funzione di rêverie, l'analista accoglie le emozioni non pensabili che il paziente trasmette tramite l'identificazione proiettiva, e lascia che queste acquisiscano un senso. In questo modo, il paziente potrà riprendere possesso di quegli aspetti del Sé che prima erano intollerabili e che ora, grazie al lavoro del terapeuta, sono trasformati in contenuti assimilabili dalla mente. Grazie a tale funzione, sarà possibile ristrutturare l'apparato per pensare che non si è mai potuto strutturare nell'individuo. Bion sostiene che l'analista, ponendosi in una condizione di assenza di memoria e desiderio, si presta ad accogliere, attraverso l'identificazione proiettiva, le emozioni non pensabili del paziente, fino a quando la funzione alfa non gli consenta di produrre rappresentazioni che favoriranno la comprensione e l'interpretazione.
Tuttavia, il concetto di rêverie non si limita soltanto a questo. Ad esempio, Speziale-Bagliacca (2010, p. 243) definisce la rêverie come un «sogno a occhi aperti, chiusi o socchiusi, ma senza dormire». Nel lavoro analitico, l'analista si affida all'uso dell'attività immaginativa, per uscire - ad esempio - da una situazione di impasse, portando il paziente ad acquisire la capacità di osservare il proprio mondo interno. Prodotta dal preconscio, la rêverie è uno stato molto simile a quello dell'addormentamento e del risveglio: ecco perché ciò che la favorisce è l'assenza di sforzo. Quando l'analista si trova in uno stato di rêverie, potranno in lui prendere forma immagini visive, rappresentazioni acustiche o rappresentazioni appartenenti ad altri canali sensoriali, che altrimenti non avrebbe potuto percepire (Ferro A., 2010).
Claudia Boffilo
BIBLIOGRAFIA
BION W.R. (1962), "Una teoria del pensiero", in Analisi degli schizofrenici e metodo psicoanalitico. Roma: Armando, 1972.
FERRO A. (2010), Tormenti di anime. Milano: Cortina.
SEGAL H. (1979), Melanie Klein. Torino: Boringhieri, 1981.
SPEZIALE-BAGLIACCA R. (2010), Come vi stavo dicendo. Nuove tecniche in psicoanalisi. Roma: Astrolabio.