LA PERDITA È CONQUISTA

Per (ri)trovare se stessi è necessario aver fatto esperienza della perdita dell'altro, in primis dell'Altro materno. Racamier affermava che solo quando il bambino rinuncia al possesso totale della madre la scopre e, nel contempo, scopre anche se stesso. La madre può ostacolare questo processo, già difficile per il bambino, e renderlo vittima permanente del proprio godimento cannibalico, prodotto dal senso di pienezza psichica che il figlio, concettualizzato come estensione di sé, può dare.Se il bambino, invece, accede alla separazione psichica dall'altro potrà riconoscere un'esistenza all'altro e, quindi, anche a se stesso: se c'è l'altro, c'è anche l'Io.Allo stesso modo, le relazioni sentimentali funzionali devono essere connotate dall'esperienza della perdita. Perdita come separatezza, come soggettivizzazione, come presenza del Sé per sé e come presenza dell'altro separato dal Sé. Oltre a perdere l'altro, però, per (ri)trovare se stessi è necessario perdere anche parti di sé, sebbene ciò sia emotivamente doloroso. Tutte le acquisizioni che vogliamo fare in noi stessi abbisognano, necessariamente, della rinuncia a qualcosa di molto caro per noi. Prendiamo l'esempio di un sintomo: un sintomo, sebbene faccia soffrire, comporta una serie di vantaggi secondari (pensiamo al bambino che, grazie al suo mal di pancia, elude la difficoltà insita nel lasciare la madre e nel rapportarsi ai pari; pensiamo all'adulto che con gli attacchi di panico tiene l'altro vicino a sé, disconoscendo il proprio bisogno di dipendere dall'altro). Il sintomo, quindi, è, al contempo, fonte di angoscia e fonte di godimento. L'individuo vorrebbe rinunciare all'angoscia prodotta dal sintomo, ma, contemporaneamente, vorrebbe conservare il godimento che esso produce. Solo affrontando la perdita, quindi, è possibile (ri)appropriarsi di sé. La perdita è conquista.La perdita è acquisizione. La perdita è percezione di sé e dell'altro.