È SEMPRE COLPA DELL’ALTRO?

Un'esperienza traumatica è, spesso, destinata alla coazione a ripetere: anziché ricordare l'esperienza vissuta, l'individuo può sentirsi costretto a ripeterne il contenuto, vivendola come attuale, piuttosto che come la riattualizzazione di un'esperienza già accaduta. Si tratta di una sorta di devozione al trauma, che nasce dall'urgenza psichica di rivivere ciò che è familiare, fosse anche traumatico. Frasi come: "Tutte a me capitano"; "Nessuno mi ama"; "Mi fanno tutti del male"; "Non mi ami abbastanza", hanno, sovente, le loro robuste radici in un passato lontano che il soggetto ha rimosso o denegato. Da un lato, ogni relazione attuale, amicale o sentimentale, potrà riattivare i contenuti del passato e, quindi, essere vissuta come pericolosa; dall'altro, masochisticamente, l'individuo potrà essere attratto da relazioni disfunzionali in cui avere la possibilità di rivivere l'esperienza traumatica. In quest'ultimo caso, lui stesso potrà essere il soggetto traumatizzante o quello traumatizzato.Dunque, ogni relazione che il soggetto intesse nell'età adulta può potenzialmente riattivare i fantasmi del proprio passato arcaico. Ecco perché, quando si avverte una mancanza affettiva da parte dell'altro, sarebbe auspicabile chiedersi se è davvero reale, se attiene realmente all'altro, oppure se è frutto di qualcosa di antico, che continua ad impregnare tutte le relazioni affettive successive.Per le stesse ragioni, il paziente, all'interno dello spazio terapeutico, potrà percepire il terapeuta stesso come colui che lo traumatizza, che lo lede, poiché l'incontro con l'altro da Sé implica sempre l'attivazione del movimento di fantasmatizzazione. Ma se si pensa al fatto che il soggetto, ripetendo il trauma, può, grazie all'aiuto del terapeuta, risignificarlo e renderlo costruttivo per la propria evoluzione psichica, allora si può facilmente desumere quanto potere riparatore sia insito nella relazione terapeutica.